che mi batte contro quando vinco
e nella lotta controvoglia mi ferisce
come un’aquila indomata dentro al petto.
Il mio corpo è la tua penna
ammaccata ingovernabile
orgogliosa maltrattata
mi accompagna come fossi te.
Sotto la tenacia dello sforzo
compare la tua voce dal mio labbro
le corde stese sull’asfalto che conosco
e che sono già passato.
Io non sono il mio cuore
ma gli ritorno fedele
se le curve arrugginite
che lo pungono
mi riportano da te.
Siamo cenere e sogni
che si prendono a morsi.
Io sono il mio cuore
e lo accetto stavolta
che tu non esisti e non lo scruti,
senza pugni e battiti
a nasconderne il sapore.
Dove la sabbia ferrosa incontra quella calcarea
su quella lingua ridondante
un equilibrio tormentato:
la pienezza del vuoto,
la vuotezza del pieno
Lì si solleva l’amore che digiuna da te.