Tra identità e memoria: la nostalgia nel flusso mediale

 

“La nostalgia è negazione di un presente infelice. E il nome di questo falso pensiero è sindrome epoca d’oro, cioè l’idea errata che un diverso periodo storico sia migliore di quello in cui viviamo.

 Vedete, è un difetto dell’immaginario romantico di certe persone che trovano difficile cavarsela nel presente.”

 

Da Midnight in Paris (2011) regia di Woody Allen

 

“Fuori dal tremore

delle attese infrante

permane vivo il ricordo

della vita sognata.”

 

Da Volare è potere- Poesie sopra mondi disancorati(2019)

 

L’etimologia della parola “emozione” deriva dal latino emovere: “trasportare fuori”.

Il termine è storicamente associato a uno spostamento nello spazio, un’attivazione con una connotazione fisica profonda.

Le culture antiche erano animate da un’interpretazione sacrale del territorio, in cui lo spazio era considerato la modalità principale dell’essere nel mondo e si riteneva impossibile comprendere l’uomo, le sue emozioni e lo stesso esercizio del pensiero, slegandolo dal luogo in cui abitava e si muoveva.

Allora cosa accade quando lo spazio fisico si trasforma e diventa parte di un processo di mediatizzazione?

Che effetti ha la tecnologia sulla diffusione e la percezione di quello che questo contributo chiamerà a più riprese “fenomeno-nostalgia”?

Come si muovono i media e le strategie di marketing in questo scenario in cui l’obsolescenza non riguarda più soltanto i prodotti ma una narrazione identitaria?

Come si trasformano l’identità e la memoria in un contesto di continua archiviazione, rimediazione e presentazione online del sè?

 

Il presente lavoro, lungi da poter approfondire in modo esaustivo tale ventaglio di tematiche, si propone, partendo dall’emozione-quadro della nostalgia, di elencare alcuni fenomeni quotidiani che sono già in atto nella nostra società e che trovano terreno fertile nel cosiddetto Internet of Things.

 

Il Marketing della Nostalgia

Ritorno al passato. La memoria diventa un brand: il desiderio di rivivere qualcosa che non c’è più. Ecco il marketing della nostalgia. Il metodo più utilizzato da marchi e aziende per sfruttare l’immenso potere persuasivo delle emozioni, fondamentali nel processo di decisione d’acquisto.

Nell’ incertezza endemica del presente assoluto (Bauman, 2000) enucleato in rapporto ai media digitali da Couldry (2015), il marketing della nostalgia risulta essere più efficace perché fa leva proprio sul bisogno di stabilità e certezza, in contrasto alla vita liquida (Bauman, 2006), al disancoramento spazio-temporale dell’esperienza, all’obsolescenza digitale e ad un immaginario che tenta con alterne fortune, ad esempio con l’ossessione per la geolocalizzazione e il place-influencing, di riallacciarsi a luoghi fisici che sviluppano un’identità social e in cui sia possibile manifestare ancora la corporeità, il proprio essere qui.

Il target migliore per questo tipo di strategia commerciale sembrava quello rappresentato dai Millennials, generazione nata e cresciuta proprio nella cesura tra l’epoca analogica e digitale, che fino a qualche tempo fa si dimostrano i più sensibili ai prodotti che richiamavano gli anni clou della loro vita.

Ma è evidente quanto questo fenomeno si sia sviluppato rapidamente, diventando ormai una necessità transgenerazionale.

 

Molti marchi, da Coca Cola a Fiat-Chrysler hanno fatto leva proprio su questa strategia per risvegliare l’emozione latente nei loro consumatori, o per celebrare un avvenimento importante per il loro brand, come dimostra la recente pubblicità (2017) della Fiat 500 sospesa tra il ricordo La Dolce Vita e lo scollamento dal futuro sulle note del brano “Come Prima.”

Il cinema e le serie tv si sono dimostrate particolarmente sensibili al tema, promuovendo negli ultimi anni narrazioni sui viaggi nel tempo come Dark, nominata “la serie migliore di Netflix”, Cloud Atlas e persino l’ultimo film degli Avengers: Endgame; tutte opere con riferimenti più o meno espliciti alla trilogia di Zemeckis, Ritorno al Futuro (1985).

Le infrastrutture dell’intrattenimento si sono anche prodigate nella produzione di veri e propri processi di revival: da serie tv come Stranger Things, tra suggestive sonorità anni 80 e riferimenti catchy ai film cult dell’epoca fino a a Game of Thrones, molto più che erede spirituale de Il Signore degli Anelli. E ancora, le audiocassette e il walkman che fanno da padrone in 13 Reasons Why hanno contribuito a rilanciare prodotti analogici su un mercato che sembrava ormai digitalizzato. Altri esempi di “tecnostalgia”: il “nuovo” Nokia 3310, status symbol e anti-smartphone per eccellenza, la Polaroid 2.0 prodotta da Fujifilm, il Nintendo Classic Mini e, ovviamente, il Giradischi.

Basti pensare che, stando ad un recente rapporto della RIIA, Recording Industry Association of America, per la prima volta dal 2011 le vendite di CD e Vinili sono state superiori a quelle dei download digitali.  Un “ritorno” sulla scena da parte del supporto fisico in un mondo digitalizzato che, a primo impatto, potrebbe far pensare ad una contraddizione di fondo.

Si arriva poi ai remake cinematografici, come quello appena annunciato di Scarface, diretto da Luca Guadagnino; oppure a seguiti inaspettati e fuori tempo massimo, come Il Gladiatore 2 o Top Gun: Maverick.

Se da un lato ci sente autorizzati ad accusare Hollywood per essere corto di idee, è innegabile che queste rivisitazioni siano la dimostrazione di quanto fermento vi sia ancora oggi rispetto a narrazioni che contengono il potere dell’Amarcord.

In questo senso tutte queste aziende non vendono più tanto un prodotto, ma un’identità.

Questo particolare tipo di comportamento legato al marketing è stato studiato dalle Neuroscienze e prende il nome di ottimismo retrospettivo o ricordo roseo. Di che si tratta? Semplicemente, il nostro cervello valuta le esperienze passate come più piacevoli di quanto non lo fossero nel momento in cui le abbiamo vissute. Chiaramente si parla di ricordi quotidiani più che di singoli eventi “di rottura” particolarmente traumatici. Un meccanismo simile, per certi versi complementare, alla rimozione che tenta di proteggerci dal dolore.

 

In un’epoca in cui i media regolano la rapidità e la percezione del nostro essere al mondo, è difficile e forse anche inquietante aggiornarsi su tutte le nuove tecnologie per le forme di spaesamento che generano.

Basti pensare al robot Sophia o al software Google Duplex.

In questo contesto stravolto, rifugiarsi nella nostalgia è rassicurante. Ne sono consapevoli i marchi, le aziende e persino i media digitali, come vedremo con la funzione “accadde oggi” di Instagram o “Ricordi” di Facebook. Così portano avanti questa strategia per avvicinare gli utenti, spingerli ad aumentare le condivisioni e, in questo modo, rafforzare la loro immagine, ricordando la storia dei loro più grandi successi o riattualizzando oggetti e narrazioni di culto.

Ma dal punto di vista sociologico come si spiega la diffusione di questo fenomeno? Abbiamo paura? E di cosa, esattamente? Del collasso del “nostro” tempo? Non sappiamo o vogliamo adattarci?

Potremmo dire che abbiamo sviluppato una sorta di resistenza al cambiamento, magari a causa della sovrasaturazione del flusso mediale individuata da Couldry (2015) ma probabilmente questo non coglierebbe la complessità del “fenomeno nostalgia”. Forse siamo già cambiati, abbiamo già perso qualcosa. L’innocenza del primo periodo web magari, o la capacità di stupirci senza perdere la tenerezza.

O ancora, non vogliamo porci la domanda più intima e impegnativa, per rispondere alla quale impieghiamo un’intera vita e con risultati spesso parziali:

“chi siamo?”

Forse l’unica domanda a cui riusciamo a rispondere è: “Come eravamo?”

 

Sulla memoria tecnologica

Quello che stiamo vivendo è un periodo di transizione tra ciò che è stato e ciò che ancora deve avvenire. Spaesante per molti versi, basti pensare alla forte componente emotiva che pervade il concetto di post-verità o alla sensazione condivisa che la capacità di dimenticare superi la necessità di ricordare.

In questo senso parlare di memoria, e anche solo di riflesso, di identità, è un compito necessario.

A primo impatto, infatti, si pensa allo spazio di archiviazione, misurato in Gigabyte, di uno smartphone o di una scheda SD più che alla nostra capacità di ricordare.

La memoria tecnologica che si è andata sviluppando negli ultimi anni è di certo qualcosa di nuovo, curioso e utile. Questo è innegabile. Ma può essere anche pericoloso, incontrollabile; può annullare o modificare la memoria umana.

Parafrasando l’Antigone di Sofocle, non è soltanto l’uomo ad essere meraviglioso/terribile (in base alla valenza data al termine deinòs) ma anche la tecnologia.

Viviamo un rapporto irrisolto, di ambiguità con i media digitali che ci lasciano sospesi tra il continuo remindering e l’oblio dello streaming.

Dai mutamenti nelle capacità cognitive al concetto di Digital Death, dalle dichiarazioni politiche alle correzioni giornalistiche ex-post, dalla presentazione del sé online alle confluenti narrazioni biografiche che abbiamo l’opportunità di regolare sui social.

Per chi è nato e cresciuto prima della rivoluzione digitale, la memoria è stata una risorsa fondamentale. I numeri di telefono, gli orari, persino i dati bancari si imparavano a mente e solo per le liste o i documenti complessi si ricorreva al bloc notes.

Inoltre, anni fa ci sarebbe parso sufficiente raccontare ciò che succedeva ad esempio andando a un concerto. Il ricordo dell’esperienza ben valeva una celebrazione. Si disponeva anche di uno sforzo mentale che impregnava il ricordo di un valore aggiunto: la memorizzazione.

Oggi non è più così.

Google ci fa da guida praticamente per ogni cosa, ricordandoci inoltre le scadenze e gli impegni tramite continui promemoria, notifiche e deadlines.

Assurge in modo complementare al bisogno umano di essere accuditi già presente, e poi ampliato, nei social network delle origini.

 

Sul fronte del cognitive offloading, ossia la dipendenza dai motori di ricerca, sono state svolte diverse ricerche negli ultimi anni. Ad esempio, uno studio pubblicato dall’ Università di Stanford dimostrava come l’impegno costante dell’encefalo in molteplici attività intellettive – il multitasking – danneggiasse la memoria a lungo termine e la capacità di distinguere le informazioni importanti da quelle futili, amalgamate nel News Feed quotidiano e su cui riusciamo ad avere solo un controllo parziale. Nonostante ciò, siamo in grado di comprendere e attuare altri tipi di processi esclusione-inclusione, specie quelli che riguardano le ferite morali e il misconoscimento (Honneth, 2010).

A questa ricerca si aggiunge il monito di un gruppo di ricercatori dell’Università della California, i quali hanno riscontrato un allarmante calo delle prestazioni della memoria a breve termine, in particolare in soggetti non più giovanissimi, abbinato ad un altrettanto negativo abbassamento della soglia d’attenzione.

 

Una ricerca statunitense svolta dal Kaspersky Lab ha studiato la capacità della nostra memoria al tempo della rivoluzione digitale. Le conclusioni finali dello studio sono inesorabili: non ci sforziamo più di ricordare nulla.

La rete ormai ci offre una risposta per qualunque quesito o informazione, anticipando o lo sforzo logico e anche mnemonico. L’amnesia digitale individuata dai ricercatori è dovuta all’affidamento esclusivo sui mezzi digitali che provoca una diminuzione della nostra capacità di ricordo e raccolta dei dati, come ad esempio le date di compleanno o i nostri appuntamenti quotidiani. Un esempio pratico è testimoniato dalla cronica incapacità di apprendere i nuovi numeri di telefono, mentre è più facile ricordare il vecchio numero di casa, memorizzato nella nostra testa prima dell’era digitale.

Lo studio è stato svolto contemporaneamente sia negli Stati Uniti, sia in Europa. Negli Stati Uniti il campione è stato di mille persone di età compresa tra i 16 e i 55 anni, suddivisi equamente tra uomini e donne. Stessi criteri anche per l’Europa, su un panel però più esteso di 6000 persone, provenienti in modo equo da Gran Bretagna, Francia, Germania, Italia, Spagna e Benelux.

Oltre il 90% dei soggetti provenienti dagli Stati Uniti e quasi l’80% di quelli europei ammette di utilizzare Internet come una estensione della propria memoria, per ricordare dati o per trovare tutte le risposte di cui hanno bisogno. Un europeo su tre e un americano su due dichiarano di consultare subito il web quando devono trovare una risposta a una questione, senza sforzarsi minimamente di ricordare o di ragionare.

Addirittura, un europeo su quattro e un americano su tre, dichiarano di scordare subito l’informazione appena acquisita online. In generale, la possibilità perdere tutti i dati registrati sui propri strumenti digitali, sullo smartphone in particolare, è fonte di grande stress e preoccupazione, soprattutto tra le donne e gli under 35. L’amnesia digitale riguarda in generale non solo gli utenti più giovani, i cosiddetti nativi digitali, ma anche le persone più adulte.

Da questi risultati emerge un dato molto interessante: sembra che il nostro cervello abbia imparato bene come accedere ad una determinata informazione, con riferimento alle pratiche di ricerca di cui parla Couldry (2015), finendo però con il dimenticare quasi subito il dato stesso.

Inoltre, la possibilità di scattare foto ovunque e in qualsiasi momento con lo smartphone porta ad una graduale diminuzione della nostra capacità di memorizzare visivamente le esperienze vissute, obbligandoci ad utilizzare le foto scattate per riportare alla memoria i dettagli. In questo senso il fenomeno- nostalgia potrebbe essere una co-conseguenza di tali atteggiamenti negativi e di cui gli intervistati sono perfettamente consapevoli.

 

Ricordi social

 

Come afferma Couldry (2015) i media digitali si sono posti come strumenti di conservazione della memoria digitale attraverso la pratica dell’archiviazione.

Ci muoviamo dunque dentro sterminati archivi digitali in grado di modificare le nostre coordinate narrative e temporali.

L’11 giugno 2018 Oren Hod, Product Manager di Facebook, annuncia la creazione di “Ricordi” una specifica sezione interna al social network di Zuckerberg dedicata al passato assegnando alla sensazione di nostalgia collettiva un suo specifico e meditato domicilio.

L’emblematica frase “Speriamo che ti faccia piacere rivivere i tuoi ricordi su Facebook, da quelli più recenti a quelli più lontani” conduce ad una sorta di timeline parallela, il cui compito consiste nel conservare i post e le foto condivise dal singolo utente nello stesso giorno di tutti gli anni passati. Si tratta, insomma, di un database interattivo delle memorie personali. L’uso del verbo “rivivere”, in questo senso, è pregnante. Ogni utente, infatti, può ricondividere e, dunque, rendere permanentemente attuali i ricordi del proprio passato, attutendo o intensificando l’effetto-nostalgia a seconda dei casi. Oppure, al contrario, cancellare particolari frammenti della propria vita, come accade ai protagonisti di Eternal Sunshine of the Spotless Mind (2004)

L’urgenza di una simile invenzione è dimostrata dal fatto che, ogni giorno, più di novanta milioni di utenti fanno uso della funzione Accadde Oggi.

Lo sguardo al passato è una pratica diventata dominante all’interno dei social network nel corso degli ultimi anni. Il ricercatore Artie Konrad nell’articolo Facebook memories: The research behind the products that connect you with your past evidenzia le prerogative specificamente narrative acquisite da Facebook che modificano la dialettica tra scrittura e lettura a cui siamo abituati. Basti pensare alla visibilità che hanno ottenuto i commenti sotto i post sui social e quello che vi accade, dal divertissement che caratterizzava i social delle origini all’hate speech più becero.

«Per gli scrittori è una grande scorta di testo da cui costruire letteratura; i lettori fanno la stessa cosa, tracciando sentieri attraverso questo groviglio di informazioni e finendo per fare anche da filtro», Le sintassi normativo-descrittive, che connotano in particolare il tipo di scrittura sviluppato man mano dai social network, permettono agli stessi lettori di diventare a loro volta scrittori, trasformando sé stessi da creatori e accumulatori seriali di dati a biografi della propria vita. Plasmando la propria memoria autobiografica giorno dopo giorno e contemporaneamente tratteggiando il profilo biografico altrui.

All’interno di questo «grande esperimento di autobiografia culturale collettiva» un ruolo capitale è ricoperto dalla consultazione compulsiva delle proprie esperienze passate, così come sono state registrate all’interno di Facebook. In questo senso Konrad ha ideato una tassonomia dei temi della memoria, quale strumento necessario per un uso della funzione ricordi che individui vocaboli ed espressioni maggiormente utilizzate dagli utenti per fornire loro, tramite algoritmi, il materiale di cui dovrebbe disporre una memoria autobiografica che vuole essere definitiva e “perfetta”.

La tassonomia dei temi della memoria, che interagisca con l’Accadde Oggi di Facebook così come di Instagram, sembra a integrare lo sguardo perennemente rivolto al passato e la neofilia che caratterizza i social network. Con lo scopo di riplasmare la memoria umana eliminando tutti i ricordi disturbanti e negativi. Per soddisfare così le esigenze nostalgiche degli utenti di Facebook, impegnati nel grande esperimento di autobiografia culturale collettiva.

Dove sta, in un meccanismo simile, lo sforzo mentale del ricordo vero e proprio, specie se sono gli algoritmi a decidere cosa far comparire sullo schermo del nostro cellulare?

Ci illudiamo di esser noi per primi a risalire alla memoria di quel preciso istante, quando in realtà ci viene presentato un frammento ready to use, senza alcun processo mentale che ci abbia condotto fino a ripescarlo: più che permetterci di rivivere un momento della nostra vita, questo meccanismo illumina parzialmente la capacità di chi sta dietro le quinte di plasmare una memoria effimera che viaggia tra codici e algoritmi.

Il digitale oggi modella chi siamo, cosa produciamo e ciò che resta di noi. Nel nostro piccolo, però, sarebbe utile cominciare a riflettere sul peso delle informazioni che produciamo, delle scorie che potrebbero restare attaccate al nostro nome un click dopo l’altro: questo tipo di pensieri può aiutarci a comprendere che tipo di individui siamo oggi, per allargare l’orizzonte e guardare come saremo in un domani non troppo lontano. Impareremo a convivere e utilizzare in maniera migliore, organica la nostra memoria digitale o diventeremo sempre più amnesici, in un futuro in cui le informazioni saranno il perno su cui si reggerà la nostra vita, dal primo all’ultimo respiro?

 

Ricordare (e dimenticare) non è mai stato così facile

 

Se la tecnologia appiattisce la memoria come si sviluppa la nostalgia?

È qui che si erge la contraddizione. La vuotezza del pieno, il paradosso del postmoderno che tentiamo di riempire.

Questa relazione ha pensato alla nostalgia partendo dalle strategie di marketing vintage per poi tentare di tracciarne un piccolo cammino a ritroso verso alcune fra le possibili cause del fascino social che questa emozione suscita. Il rapporto di convergenza tra media e memoria/identità permette di ricordare (e dimenticare) in un modo che non è mai stato così facile.

C’è da dire che questo rapporto col passato è spesso conflittuale. Parafrasando il film Memento (2004) potremmo dire che a volte ricordiamo soltanto per dimenticare.

Possiamo darne un’interpretazione nelle attualissime rivolte statunitensi derivanti dall’ingiustificabile assassinio di George Floyd e dallo slogan #blacklivesmatter. Se da un lato queste manifestazioni hanno raccolto il grido di dolore in una presa di coscienza come movimento collettivo transnazionale, dall’altro sono state usate da alcuni come pretesti per causare danni o furti ai privati cittadini e alle aziende più che alle forze dell’ordine.

In questo contesto, sta emergendo una spiccata tendenza al revisionismo storico e al moralismo da parte di alcuni manifestanti che, in Virginia come in altri luoghi degli USA, hanno distrutto statue di personaggi come Cristoforo Colombo o provocato la messa al bando del film Via col Vento (sospeso dal catalogo di HBO online) in quanto rappresentavano contenuti o episodi razzisti.

Questi avvenimenti hanno avuto immediatamente riscontro anche in Italia. In particolare, per quanto riguarda la statua di Indro Montanelli a Milano reo, ricordiamolo, di aver acquistato una sposa-bambina nel periodo di colonizzazione italiana in Abissinia, fino ad alcuni aziende di dolci e liquori.

Se nel caso dei nomi ad esempio dell’Amaro Montenegro la polemica è sterile; nel caso di Montanelli (che negli anni settanta ancora parlava di quell’episodio con una certa sfrontatezza) ha suscitato grande scandalo e considerazioni alle volte divergenti.

Questo dimostra da un lato come la questione morale sia fervida, contrastando (o dimostrando, a seconda del punto di vista) l’idea di collasso del tempo nella forma del presente assoluto che ha inglobato passato e futuro.

Dall’altro è un ulteriore esempio di come la sesta incertezza di cui Couldry parlava nel 2015, ossia la conduzione di una vita buona in rapporto ai media, sia pregnante in un’epoca senza misura e capacità di contestualizzare e distante da una sua ipotetica risoluzione.

Lungi dall’esprimere un giudizio puramente di valore, mi piace pensare che questi episodi potrebbero essere meglio canalizzati e sfruttati, trascurando la violenza illetterata che offuscherebbe, in tutto o in parte, pagine della storia umana la cui memoria non giustifica le azioni, ma ci aiuta ad esserne più consapevoli.

 

 

 

 

 

Bibliografia

 

Bauman Z., La solitudine del cittadino globale, Milano, Feltrinelli, 2000.

Bauman Z., Vita liquida, Roma-Bari, Laterza, 2006.

Boccia Artieri G.,Gemini L., Pasquali F., Carlo S., Farci M., Pedroni M., Fenomenologia dei social network. Presenza, relazioni e consumi mediali degli italiani online. Milano, Guerini Scientifica, 2017.

Couldry N., Sociologia dei nuovi media, Pearson, 2015.

Pellegrino, G. “Il sentire tecnologico. Le nuove tecnologie come oggetti-vettori emozionali tra discorso e corporeità”, in Iaquinta, T. (a cura di), Emozione, ragione e sentimento. Prospettive pedagogiche per educare all’affettività, Novalogos, 2019, pp. 236-272.

 

 

Sitografia

 

https://faremusic.it/2019/03/04/il-vinile-ritorna-ai-livelli-di-vendita-del-1988-il-rapporto-della-riia-per-il-2018/

 

https://www.kaspersky.it/blog/digital-amnesia-survival-2/6274/

https://www.familyandmedia.eu/internet-e-social-network/la-memoria-al-tempo-di-internet-una-ricerca-ci-svela-come-e-cambiata/

https://benesseretecnologico.it/tecnologia-memoria-pro-e-contro/

http://www.beunsocial.it/la-memoria-ai-tempi-dei-social-parola-a-gabriele-sebastiani/

 

 

 

 

 

 

 

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