Il dono rende atleti (dei sentimenti)

Quell’uomo, tanto migliore di quanto potrò diventare, dà le spalle al mare. È la fine della corsa eppure non lo osserva, il suo traguardo; guarda altrove. Indietro.

In fondo, lui del mare ha sempre avuto paura. Non si fida, lo considera un eremita solitario, che nasconde troppe insidie e lo tenta accecandolo con la bellezza del suo ignoto, palpitante e irraggiungibile, mutamento.

Il mare quell’uomo l’ha rincorso per più di 13 ore, da un capo all’altro della penisola; eppure arrivare lì non era il suo scopo. Per tutto il tempo, ha corso in avanti guardandosi all’indietro. Perché il suo viaggio, lo sa bene, è stato molto più lungo di un giorno e molto più duro di 138km.

Quell’uomo cercava una compagnia.

La sua, la loro.

L’ha trovata sulle montagne.

L’ha custodita in una promessa.

L’ha raggiunta nello sforzo.

Con cui donare che resta del suo folle cuore.

Per lasciare andare ciò che di più puro conservava per sè.

Quell’uomo, per 8 mesi, sono stato io. Sapevo così bene chi ero con te che non vedevo l’ora di ritornare ad essere me stesso. Ma un’avventura, per quanto leggendaria, non sostituisce tutte quelle che avremmo potuto vivere insieme. Questo sforzo mi ha tenuto occupato e mi ha fatto sentire vicino a te. Ma alla fine, quello che volevo era non provare più quella terribile mancanza: la certezza di aver perso più di quanto potessi mai recuperare. Così sono tornato alle origini: “Solo, davanti la pietra cieca e sorda, senza altri aiuti che le proprie mani e la propria testa.”

La tua presenza non è stata che una parentesi felice.

La tua scomparsa, invece, è diventata la seconda cesura della mia vita.

Nel suo famoso “Saggio sul Dono” Marcel Mauss ha scritto delle forme e dei motivi del dono nelle società arcaiche. In riferimento ad una di queste pratiche, il kula, e in particolare ai vaygu’a, oggetti simili a monete usati negli scambi, egli parla dell’incantesimo della conchiglia. Una cerimonia sacra con cui questi oggetti, che hanno una personalità, una storia e sono custodi dell’anima del donatore, vengono scambiati.

Ebbene, la formula si conclude con un ritornello indigeno, che usa la metafora dei cani per spiegare la potenza di questi doni, capaci di donare supremo conforto e procurare dolcezza: i cani giocano muso contro muso, come le cose preziose che abbiamo dato e quelle che riceveremo. Così uomini e oggetti si riuniscono- in pace- come cani che vanno l’uno incontro all’altro.

C’è un filo rosso che unisce le mie avventure alla compagnia dei cani, fin dalle prime corse da ragazzino sulla Scogliera. Una lunga storia che considero molto profonda: in fondo mi ricorda perché faccio ciò che faccio e perché sono ciò che sono.

Ora, il destino ha voluto che il soprannome che diedi molto tempo fa al mio migliore amico, fu proprio “Don.”

E i doni che ho portato con me quel giorno per rendergli omaggio erano il suo cappello; la medaglietta (o dog-tag appunto) con i nostri volti e l’incisione con le sue iniziali: “Donarsi Ovunque Necessario; un taccuino, del suo colore preferito, con cui avevo scritto di questa impresa e dei 7 punti per superare la sua perdita; e infine la poesia su di lui che era stata pubblicata e che riuscii a fargli leggere.

Ma il regalo più potente, l’ultima immagine della sua presenza che ho ricevuto su quella spiaggia, è stata proprio questa: l’incontro di due cani che si riuniscono prima di lasciarsi.

Il dono serve a creare o nutrire una relazione, ha dei tempi diversi rispetto allo scambio, è circolare e non punta all’uguaglianza tipica dell’homo oeconomicus ma alla sovrabbondanza, tipica delle relazioni di riconoscimento mutuo: “più do, più ho.”

Nel 2016 il mio migliore amico mi disse: “tu hai 2 cuori adesso, ti ho dato anche il mio.”

Il 6 luglio 2021, dopo una lunga volata di 138km e 2020m di dislivello(come l’anno in cui l’ho perso) per dargli il saluto che meritavamo, gli ho restituito il suo. E gli ho donato anche quello che restava del mio.

Ogni viaggio, vicino o lontano, che ho cercato di intraprendere dopo questo, sarebbe servito soltanto a scappare da questa sensazione. Non sono riuscito a farne neanche uno. Ti ho lasciato andare, fratello, mi sono liberato di quei pesi. Ho accettato il tuo vuoto. Non potrò mai, mai, riempirlo. Ma ho bisogno di qualcosa che lo compensi.

Adesso che lo guardo, quell’uomo spezzato ma determinato che osserva la spiaggia dal mare, mi sembra di non riconoscerlo più. Ora non so nè chi sono nè chi voglio diventare. Nuoto tra le onde del destino con lo sguardo verso un orizzonte che si sposta ad ogni bracciata. Il mare è fatto per perdersi, i suoi obiettivi sono irraggiungibili perché mutano al mutare di chi li persegue. Citando Conrad, il mare non è mai stato amico dell’uomo, semmai complice della sua inquietudine. Avere molte opzioni adesso equivale a non avere nessuna. Ma, parafrasando Kierkegaard, anche non scegliere è una scelta. Ed è giusto così.

Durante una cena, Hemingway invitò gli altri scrittori a mettere sul tavolo dieci dollari, scommettendo che sarebbe riuscito a scrivere un intero romanzo in sole 6 parole. Poi scrisse su un tovagliolo “Vendo scarpe da bambino: mai usate.” E raccolse le vincite.

In seguito egli stesso la definirà la sua opera migliore. Una volta mi cimentai in questo esercizio, scegliendo un termine (vocale) per creare una storia. Rimuginai su ogni lettera; affrontando , in qualche modo, un lento processo di erudizione. Tutto per una sola parola vera; alla ricerca di una sfumatura, che, per quanto banale, mi appartenesse. Lo scopo? Scarnificarsi: è l’essenza stessa del processo creativo.

Oggi, dopo molto tempo, ci riprovo. Con una parola che ho usato spesso nell’ultimo anno:

“Adesso

Donami

Direzione

Io

Obbedirò.”

-Cosa c’è dietro un grande cammino?

-Un grande dolore, mi verrebbe da dire.

Ma amare è anche la capacità di sublimare il dolore e trasformarlo in un dono senza tempo.

Quindi, ragazzo, ciò che è rende davvero grande un cammino, è sempre un grande amore.

Io ragiono col tempo. E anche se alla fine vince sempre lui, il mio scopo- da uomo prima che da scrittore- è lasciare qualcosa che resti.

Questo sforzo rimarrà.

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